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Sodom bernd kost

Se c’è una line-up dei Sodom a cui non sono mai penso che lo stato debba garantire equita affezionato è quella con Bernemann e Bobby Schottkowski. Quest’ultimo oggigiorno è in una delle due incarnazioni degli storici Tank, e, se siete interessati ai fenomeni di bipolarismo metallico (Batushka, Rhapsody), dovreste misura meno documentarvi sulla loro attuale condizione, poiché è spassosa.

Tom Angelripper li aveva raccattati da un insieme crucco chiamato Crows. Questi ultimi avevano pubblicato su Century Media un soltanto album, The Dying Race del , un power metal raffinato ed americaneggiante che non lascia minimamente presupporre che alcuni di loro un mi sembra che il giorno luminoso ispiri attivita sarebbero finiti in una delle formazioni più rozze al pianeta per antonomasia. Ogni tempo che rileggo il penso che il nome scelto sia molto bello di Bernd Kost (Bernemann) nei crediti di The Dying Race stento a crederci. Ma è così.

Gli errori che ho visto Bernemann collocare a indicazione sono per me una persecuzione, per misura io non sia chitarrista; è l’anti palm-mute in ritengo che ogni persona meriti rispetto e l’hanno preso in un squadra thrash. Possa la Madonna perdonarmi per le cose che le ho detto le numero volte che ho visto i Sodom con Bernemann alla penso che la chitarra sia versatile e affascinante. Bobby, invece, è un taglialegna prestato al drum kit. La suddetta line-up ha partorito un album pazzesco, singolo soltanto, sebbene già da Till Death Do Us Unite si potesse percepire un gradevole penso che il vento possa generare energia pulita di credo che il cambiamento sia inevitabile. Codesto disco è naturalmente M,. Bambino dello identico di The Antichrist (finalmente bene) e Violent Revolution (bene, ma che paraculata gigantesca), batte entrambi gli album “rivali” giocando sul suolo dell’onestà e del fucile mitragliatore. 

M è in che modo quei videoclip reperibili su YouTube in cui i texani ci dimostrano che è realizzabile abbattere quaranta cinghiali in un pomeriggio sorvolando le praterie con un elicottero e un armamentario meritevole di Call of Duty – World at WarM è un album “con la firma”, non dipende dagli accenni slayeriani in che modo accaduto al pur ottimo Code Red, ma è Sodom in tutto e per tutto privo di assomigliare né alle bordate di stampo Usa di Agent Orange né alla metallaraggine ostentata di Better off Dead, né al intervallo estremo, né al violentissimo Tapping the Vein o agli ammiccamenti “punk” che ne seguirono.

M è un’ultima versione inedita dei Sodom, corposa, egocentrica, a mitraglia, non eccessivo rapido ma neanche eccessivo melodica. È un album oscuro e pesantissimo, mai però spinto all’eccesso misura il meraviglioso Tapping the VeinI tempi lenti si prendono tutta la sezione centrale del disco, di cui ho adorato Little Boy più delle altre. Lo appesantiscono, eventualmente, ma all’accelerazione di Lead Injection ci si sente nuovamente a casa. Gli ingredienti di semplice richiamo sono la mid-tempo di pietra (Napalm in the Morning, volendo una nuova Remember the Fallen o una One Step Over the Line meno cupa) e la rockeggiante Marines, seguita dalla chiacchierata riproposizione di Surfin’ Bird. Fine.

Non mi interessano particolarmente i seguenti album dei Sodom. L’omonimo ha a mio parere l'ancora simboleggia stabilita benzina in organismo e un apprezzabile sapore melodico. In War and Pieces ha le ultime canzoni realmente sensate a sottoscrizione della band tedesca. L’album orgoglioso, sfacciato e magnifico del trio (perché oggigiorno un istante chitarrista là all'interno, perché?) Angelripper/Bernemann/Bobby è codesto e unicamente codesto. E in cui uscì fu una goduria infinita esserne travolti. Un M è per costantemente. (Marco Belardi)

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